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lunedì 19 ottobre 2009

La piazza contro il razzismo del 17 ottobre a Roma

  UNA GRANDE FOLLA A ROMA
  di Paola Zanca
     Tanti. Duecentomila secondo gli organizzatori. In ogni caso una grande folla, impossibili da ignorare. A Roma, sabato pomeriggio, sfilano quelli che dicono basta al razzismo. E non sono solo stranieri. Ci sono donne, uomini, tantissimi ragazzi arrivati da tutta Italia, e poi la Cgil, l'Arci, Emergency e 500 altre associazioni. E ancora, il segretario del Pd, Dario   Franceschini, il governatore della Puglia, Nichi Vendola, Stefano Pedica dell'Idv, il segretario di Rifondazione Paolo Ferrero, Moni Ovadia, Don Tonio Dell'Olio di Libera, Haidi Giuliani. Da Palermo a La   Spezia, da Caserta al Veneto, da Rimini a Milano. Tutti a chiedere "solidarietà umana". Tutti a gridare il loro "orgoglio meticcio". Tutti a chiedere l'abrogazione del pacchetto sicurezza e del reato di clandestinità, a dire no ai respingimenti, a lottare per il diritto all'asilo dei rifugiati e dei profughi di guerra. In piazza, le facce dei loro eroi, primo tra tutti Jerry Masslo. Una storia finita in dramma. Ma sono tante le giornate amare che non finiscono sui giornali.    Per Gheorita Melecciu è stata quella di un mese fa, alla stazione   Termini di Roma. Gheorita ha 35 anni e viene dalla Romania. Quattordici anni in Italia, la sua "seconda America", come la chiama. Bussava a una porta e gli aprivano, ricorda. C'era il lavoro, i rumeni nei cantieri li cercavano come l'oro. Poi qualcosa è cambiato. E Gheorita - meccanico, addetto alla pala escavatrice, elettricista - è diventato un signor nessuno. Non è più un lavoratore, è solo un rumeno. Per gli italiani, un criminale. Per la      legge, uno che non ha più bisogno d'aiuto. Gheorita due settimane fa ha perso il lavoro. L'affitto lo paga con qualche lavoretto in nero: gira per gli smorzi con la zappa e la cazzuola nello zaino. L'unica cosa che non porta con sé, sono i documenti. "È già successo che li rubino - spiega - Ma andare in giro senza è un casino: un mese fa mi ha fermato la polizia alla stazione Termini. Ho spiegato la questione, ho detto agli agenti: 'Non vedete che sono sporco di lavoro? Non vedete che ho l'abbonamento del treno?'. Mi hanno risposto:   'Zingaro, è un'ora che giri per la stazione'. Ma io avevo solo perso il treno, e stavo aspettando quello dopo. Perché ci trattano così?".    Gheorita qui aveva trovato la sua seconda America. Patrick Tisso, invece, a 45 anni è ancora solo. Viene dal Ghana e da cinque anni sta a Castelvolturno, in provincia di Caserta. Non parla una parola di italiano. Non    ha amici, non conosce nessuno   . Ripete solo che è solo. "La mia vita? Money", dice. La sua vita sono i soldi: con quelli che raccimola - lui è meccanico e trova qualche riparazione da fare qua e là - li usa per pagare l'affitto. Appena avrà i documenti, giura, se ne andrà. Per lui, l'Italia razzista è quella che non gli ha dato un lavoro.    Ahmed Faid, invece, il razzismo   lo vede dalla tribuna di un campetto di calcio. Per mesi ha aspettato che suo figlio entrasse in campo: non è successo mai, nemmeno una volta. Per lui, è un razzista chi lo ha lasciato sempre in panchina. Ahmed da 24 anni fa l'operaio tessile a Bergamo. "Ho i documenti – dice – ma non ho gli stessi diritti. E soprattutto non li hanno i miei figli". Suo figlio, dopo l'ennesima domenica in panchina, a giocare a calcio non ci va più. Ahmed, invece, quasi si vergogna ad andare in giro in macchina: "Se non lavori ti dicono che sei un lazzarone, se ti compri un auto un po' più bella, ti guardano male".      Alexandrina di anni ne ha 44, viene dal Perù e da 18 abita a Roma. Fa la collaboratrice domestica, ogni tanto la badante, "quei lavori che gli italiani non vogliono più fare". Lei sta bene, ma non le va giù di vedere tanti stranieri come lei trattati a pesci in faccia. Non sopporta le ipocrisie: "Molti italiani mi dicono: 'Con voi sudamericani stiamo bene, è con gli altri stranieri che non ci troviamo'. Non mi importa di essere accettata, per me questo è razzismo allo stesso modo".    E poi ci sono gli stranieri in patria. Sono i gay, le lesbiche, i   transessuali che sabato hanno scelto di stare in piazza perché anche l'omofobia è una forma di razzismo. "La risposta delle istituzioni alle aggressioni omofobe di questi mesi è la stessa che sentimmo dopo l'omicidio Reggiani - racconta Alessandra, studentessa di 23 anni - Telecamere, sicurezza, pene più severe: non   è così che si costruisce un argine alla violenza. Si comincia dai diritti, dal riconoscere le diversità. Per questo diciamo, anche al Pd, queste misure legalitarie non prendetele in nostro nome. Noi non le vogliamo".    Lo hanno gridato, senza perdere un colpo, da piazza della Repubblica fino alla Bocca della Verità. Avevano chiesto la diretta tv per raccontare quei sette chilometri di un'Italia normale. Niente da fare, per loro sugli schermi della televisione pubblica italiana, non c'è posto.  
 
 
 
 
  Nelle foto qui sopra, da sinistra: gli intervistati Alexandrina, Patrick, Gheorita e Ahmed    (FOTO MASSIMO DI VITA)

1 commento:

Anonimo ha detto...

MELECCIU E MIO FRATELO
PER FAVORE SAPETE DIRMI DI PIU SU DI LUI?