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venerdì 15 agosto 2008

Le cause della fame e dell’aumento dei prezzi alimentari

di Domenico Moro

Uno degli fenomeni più importanti di questa fase di crisi della mondializzazione è l’aumento esponenziale dei prezzi delle materie prime alimentari. Riso, olio vegetale, mais, grano e soia hanno registrato aumenti tra il 50% ed il 100% nel primo trimestre del 2008 rispetto a quello dell’anno precedente, dopo essere cresciuti considerevolmente già nel 2006 (in media +6%), e nel 2007 (+24%). La tendenza rialzista, comunque, non accenna ad arrestarsi e, all’inizio di giugno, il mais ha raggiunto nuovi record, trascinando verso l’alto anche frumento, riso e soia. Ciò sta portando ad una strage silenziosa nei paesi più poveri, dove più del 50% del reddito è destinato al cibo, e al peggioramento delle condizioni di vita tra i sempre più numerosi poveri dei cosiddetti paesi ricchi. Il progetto Onu, varato dieci anni fa, di dimezzare entro il 2015 il numero delle persone che soffrono la fame a livello mondiale da 800 a 400 milioni è già fallito. Oggi, infatti, siamo a 850 milioni e il loro numero cresce ancora, considerando che i poveri sono 100 milioni in più sui due miliardi che vivono con meno di 2 dollari al giorno.

Secondo George W. Bush la ragione dell’aumento dei prezzi delle materie prime alimentari, come di quelle energetiche, è da imputare all’aumento della domanda delle economie emergenti, Cina ed India in testa. Si tratta, però, della riedizione della erronea teoria malthusiana che, nell’800, attribuiva le cause della fame ad uno squilibrio naturale tra popolazione e produzione alimentare. In realtà, le responsabilità della situazione attuale sono molto più vicine a Bush di quanto egli voglia riconoscere. Le cause dell’aumento dei prezzi delle materie prime alimentari e della fame nel mondo sono essenzialmente le seguenti quattro.

A) L’esistenza di una bolla speculativa delle materie prime alimentari ed energetiche. Le banche ed i fondi pensione si sono gettati con cifre considerevoli nella speculazione sulle materie prime nel tentativo di recuperare una parte delle ingentissime perdite, causate dallo scoppio della bolla dei subprime. La nuova bolla speculativa, che, anche secondo Soros, il più famoso finanziere internazionale, si è creata nel settore delle materie prime, è spinta anche dall’abbassamento dei tassi d’interesse ai minimi storici da parte della Banca centrale Usa, e dal laissez faire imperante negli scambi borsistici, determinato dalla permissività normativa da parte delle autorità finanziarie e di borsa e dall’ultraliberismo di molti governi, come quelli Usa e britannico.

B) La svalutazione del dollaro. La crisi del dollaro è legata alla crisi dei subprime ed alla speculazione. Infatti, l’abbassamento dei tassi d’interesse da parte della Fed accentua la svalutazione del dollaro, già indebolitosi nei confronti dell’euro per la decadenza economica Usa. Dal momento che non solo il petrolio ma anche gli agricoli sono quotati in dollari, l’indebolimento della valuta Usa spinge i produttori a recuperare margini di profitto aumentando i prezzi. Tale tendenza è rafforzata anche dal fatto che i contratti future, i maggiori responsabili dell’innalzamento di borsa dei prezzi, sono usati soprattuto dagli agricoltori Usa e che il Chicago Board of Trade è insieme il mercato di derivati più importante ad mondo e la maggiore piazza commerciale e di stoccaggio dei cereali.

C) Sussidi statali ai biocarburanti e ogm. I sussidi statali negli Usa e nella Ue agli agricoltori che destinano le loro colture alla produzione di biocarburanti fanno sì che migliaia di ettari siano sottratti alla produzione per scopi alimentari, con il conseguente aumento dei prezzi. Nel 2006 il 16% del granturco Usa fu destinato ai biocarburanti, nel 2007 tale percentuale è salita al 30%. Gli incentivi, inoltre, spingono a forzare i tempi del ciclo produttivo naturale, sviluppando il ricorso a sempre più costosi pesticidi e ogm, che necessitano di più acqua e più energia. Tutto questo, insieme all’appropriazione in esclusiva da parte delle multinazionali agroindustriali, mediante brevetti, di prodotti tradizionali delle agricolture del terzo mondo, rende sempre più costosa la produzione ai contadini, oltre a impoverire la terra delle sue capacità nutritive.

D) Rivoluzione industriale e modifica dei rapporti di produzione nelle campagne dei paesi in via di sviluppo. Anche se la speculazione finanziaria spiega la rapidità e l’eccezionale entità dell’aumento dei prezzi, la rivoluzione industriale in atto nei paesi del terzo mondo, di proporzioni incomparabilmente superiore a quella realizzatasi alla fine del XVIII secolo in Europa occidentale, ne rappresenta il sostrato economico principale. L’aumento dei costi di produzione, unitamente alla espropriazione di ampi terreni per l’installazione di impianti industriali e di grandi infrastrutture, provocano la fuga dalle campagne di milioni di piccoli contadini e la loro urbanizzazione in enormi megalopoli dove sopravvivono privi di mezzi di occupazione. L'autosufficienza alimentare, propria della comunità rurali, viene così meno e vasti territori agricoli vengono abbandonati all’avanzare del deserto. Inoltre, l’aumento dei prezzi internazionali favorisce le esportazioni, determinando la riduzione degli stock destinati al consumo locale in molti paesi del terzo mondo, come Egitto ed India, che, infatti, stanno alzando i dazi all’export.

Dunque, l’aumento dei prezzi del cibo e della malnutrizione non dipende tanto da fattori naturali, come quelli climatici, né dall’aumento della popolazione mondiale, che pure esacerbano una situazione, le cui cause prime, però, rimandano all’estensione su scala mondiale dal modo di produzione capitalistico. Non è che ci sono troppi esseri umani, è che ce ne sono troppi troppo poveri per acquistare cibo a sufficienza. E tale fatto non è casuale, ma conseguenza delle modalità con cui si è realizzato il mercato mondiale. La distruzione dei rapporti di produzione tradizionali delle campagne e l’inurbamento di milioni di contadini, oltre a produrre l’aumento della forza lavoro disponibile per le nuove industrie, determina anche l’aumento di una popolazione “eccedente” e quindi della povertà.

La situazione si aggrava, poi, quando l’intero sistema accusa una generale caduta del saggio del profitto. E’ per questo che, nel tentativo di rialzare i profitti, i tempi di produzione di un settore, quello agricolo, legato da sempre ai tempi della natura, subiscono una artificiale compressione. Ed è, soprattutto, per questo che oggi l’economia sembra non potersi sostenere altro che con la continua creazione di bolle speculative, prima quella di internet, poi quella dei mutui e ora quella delle materie prime. Ciò vale soprattutto per gli Usa, vero epicentro dello tsunami dei prezzi, che pure negano le responsabilità e persino l’esistenza della speculazione.

Del resto, l’aumento dei prezzi internazionali del cibo non soltanto scarica l’inflazione e la crisi statunitense sui paesi in via di sviluppo. Rappresenta anche un utile mezzo di pressione geostrategica, visto che gli Usa sono i principali produttori di cereali (e detentori di riserve di acqua dolce) del mondo e usano questa leva, come del resto quella militare, per esercitare una rinnovata egemonia politica.

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