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venerdì 30 settembre 2011

Sulla giornata internazionale dell'indignazione del 15 ottobre

Verso il 15 ottobre."Solleviamoci!?"

di  Federico Rucco

 

Discussione animata e difficile sul percorso del corteo del 15 ottobre. Ma alla fine si è trovata la "quadra". Persistono divergenze sul segnale politico che deve mandare la manifestazione italiana. Il 15 ottobre sarà una giornata di mobilitazione internazionale contro la crisi e il massacro sociale scatenato dalle istituzioni finanziarie europee e dal governo unico delle banche.

L'ennesima riunione preparatoria per la giornata europea di mobilitazione del 15 ottobre, ha visto le molte componenti del coordinamento nato ad hoc, cercare in tutti in modi di trovare "la quadra". Un risultato che dopo l'ultima riunione e all'inizio di quella di ieri non appariva affatto scontato.

La discussione – ad un osservatore esterno – poteva sembrare meramente "tecnica" cioè il percorso del corteo, lo striscione di apertura, la conclusione. In realtà indicava e indica divaricazioni politiche sul segnale che la manifestazione nazionale del 15 ottobre deve mandare sia a chi scenderà in piazza sia ai responsabili del massacro sociale che in tutta Europa ed anche Italia si sta abbattendo su lavoratori, giovani, pensionati,migranti.

La discussione dei due gruppi di lavoro (manifestazione, comunicazione) è iniziata dopo le 11.00 ed è riuscita a concludersi solo a ridosso dell'inizio della riunione plenaria dopo un lungo botta e riposta e numerosi interventi che hanno talvolta allontanato la possibilità di giungere ad un appuntamento unitario e condiviso. Lo spettro di due manifestazioni si è affacciato neanche troppo velatamente in alcuni interventi. Il rappresentante dell'Usb è andato alla carica senza troppi preamboli mettendo in discussione che il corteo dovesse accuratamente evitare di transitare per il centro della capitale e si dirigesse verso piazza San Giovanni secondo i canoni della manifestazioni di massa ma un po' liturgiche. La proposta avanzata dall'Usb era che si concludesse invece nella centrale piazza del Popolo a ridosso dei palazzi del potere e annunciasse pubblicamente che la manifestazione non si concludeva la sera del 15 ottobre con un tradizionale comizio. "A New York manifestano sotto la Borsa di Wall Street mica a Central Park, in Grecia stanno in piazza Syntagma davanti al Parlamento" ha specificato. Insomma una manifestazione di lotta e non di rappresentazione che trova il suo punto di forza solo nel numero dei partecipanti.

Di avviso contrario alla proposta dell'Usb altre componenti del coordinamento (Action,Uniti contro la crisi, Cobas, Arci, Fiom, Uds) e consenso invece da parte di altre componenti come le reti dello Sciopero Precario, la rete Roma Bene Comune, Atenei in rivolta, la Rete dei Comunisti, che hanno insistito molto sul fatto che il passaggio del centro "politico ed economico" della capitale funzioni anche come avviso di garanzia – in qualche modo anche minaccioso – verso le misure antipopolari decise dal governo e dalle istituzioni europee, un nemico che alcuni definiscono ormai come il "governo unico delle banche" (con chiare allusioni al governo che sostituirà quello Berlusconi per fare una identica politica antipopolare). La discussione si è incastrata e contrapposta per parecchio tempo ed è sembrato a un certo punto che la rottura fosse inevitabile. Un paio di interventi hanno infine cercato di raccogliere tutte le osservazioni in campo e indicato la quadra possibile: il percorso del corteo verrà allungato e chiederà di transitare per il centro prima di arrivare a Piazza San Giovanni, arrivare ma non concludersi. Un concetto questo che è stato ribadito da diversi interventi preoccupati che la manifestazione del 15 ottobre si riduca ad una tradizionale manifestazione di massa ma privata di ogni conflittualita contro il massacro sociale approntato dai poteri forti in Europa e in Italia.

Anche sullo striscione di apertura la discussione non è stata semplicissima. Il momento francamente più paradossale è stato quando si è inceppata sulla condivisione dello slogan ormai europeo lanciato dai movimenti greci "People of Europe rise up!" ma non sulla sua traduzione in italiano che significa testualmente "Popoli europei solleviamoci!". L'idea della sollevazione è apparsa forse un pò troppo inquietante che si volevano sostituire con un più rassicurante "Cambiare l'Italia, cambiare l'Europa", uno slogan che obiettivamente sarebbe metabolizzabile anche da Bersani e Bonanni.

La discussione si è conclusa con l'approvazione dello striscione d'apertura coerente in inglese e in italiano con l'indicazione apparsa sul Partenone "People of Europe rise up! Popoli europei solleviamoci!". La testa del corteo sarà unitaria e rappresentativa di tutte le componenti del coodinamento con l'esplicito invito a tenere alla larga bandiere di partito e organizzazione o I leader televisiviche ammucchiano di loro le telecamere e riducono il corteo ad uno sfondo anonimo nei contenuti.

Più difficile è stato trovare "la quadra" sulla gestione dell'arrivo della manifestazione in piazza San Giovanni che in molti non intendono vivere come conclusione del corteo e della mobilitazione del 15 ottobre. Molte le proposte sul tappeto (il coordinatore della discussione ne ha elencate almeno dieci diverse tra loro), ragione per cui il coordinamento si è riconvocato per discueterne martedi prossimo. Nel frattempo una delegazione andrà in Questura per discutere il percorso del corteo avendo ricevuto un mandato esplicito sulle opzioni da indicare. Il percorso di avvicinamento al 15 ottobre è ormai avviato. C'è da augurarsi e da lavorare affinchè proceda come auspicato da tutti gli interventi. L'aspettativa è indubbiamente in crescita e il governo unico delle banche dovrà cominciare a tenerne conto.

martedì 27 settembre 2011

29 OTTOBRE : GIORNATA DI MOBILITAZIONE NAZIONALE CONTRO IL CARBONE

CONTRO L'USO DEL CARBONE, PER UN LAVORO DEGNO, PER CONTRASTARE I CAMBIAMENTI CLIMATICI E TUTELARE LA SALUTE DANDO SPERANZA AL NOSTRO FUTURO

 

 

APPELLO PER UNA MANIFESTAZIONE NAZIONALE AD ADRIA (ROVIGO) E PRESIDI DAVANTI ALLE CENTRALI A CARBONE

 

La scelta di incrementare l'uso del carbone per la produzione di energia elettrica è una scelta nociva e sbagliata, soprattutto oggi che i cambiamenti climatici costituiscono una minaccia per il futuro del Pianeta e le fonti rinnovabili, insieme all'efficienza energetica, rappresentano l'alternativa efficace e praticabile. La combustione del carbone in centrali elettriche rappresenta, infatti, la più grande fonte "umana" di inquinamento da CO2, più del doppio di quelle a gas. A parole tutti sono per la lotta ai cambiamenti climatici, ma in Italia si fanno scelte in senso contrario, nonostante l'Unione Europea abbia assunto la decisione di ridurre entro il 2020 di almeno del 20% le emissioni di gas serra, rispetto ai livelli del 1990.

 

Il carbone è anche una grave minaccia per la salute di tutti: la combustione rilascia un cocktail di inquinanti micidiali (Arsenico, Cromo, Cadmio e Mercurio, per esempio), che coinvolgono un'area molto più vasta di quella intorno alla centrale. L'Anidride solforosa emessa, combinandosi con il vapore acqueo, provoca le piogge acide, per non parlare dei danni alla salute derivanti dalle polveri sottili.

 

La consapevolezza del legame tra danno ambientale e minacce per la salute umana, con inevitabili costi per la collettività, dovrebbe ormai costituire una consapevolezza comune. Ciò nonostante, e per mere convenienze proprie legate all'attuale prezzo del carbone (peraltro in salita), alcune aziende insistono per costruire nuove centrali a carbone o riconvertire centrali esistenti.

 

Con i recenti referendum oltre 26 milioni di italiani hanno rivendicato il diritto a decidere del proprio futuro, un futuro in cui i cambiamenti climatici non raggiungano livelli distruttivi per l'ambiente, il benessere e la stessa specie umana, un futuro di vera sicurezza energetica, un futuro di vera e stabile occupazione. In contrasto con questa ampia richiesta popolare Governo, Enel e altri lanciano invece un "piano carbone" che, oltre a Porto Tolle, riguarda Vado Ligure, La Spezia, Saline Ioniche e Rossano Calabro, con un livello di investimenti, pubblici e privati, dell'ordine di 10 miliardi di euro. Con buona pace del risparmio energetico e delle fonti rinnovabili. Rivendichiamo il diritto a essere coinvolti in scelte chiare, fondate su strategie e piani condivisi e non dettati dalle lobby energetiche, ma dall'interesse di tutti e dal bene comune.

 

 

Proponiamo il territorio polesano come laboratorio nazionale per cominciare ad immaginare ed attuare l'alternativa energetica, per uscire dalle fonti fossili.

 

Cominciamo questo percorso con una giornata di mobilitazione nazionale contro il carbone il 29 ottobre, e con una manifestazione nazionale nel Polesine.

 

A Porto Tolle, l'ENEL vuole – anche con modifiche alle leggi e alle normali procedure, operate da una politica compiacente – convertire una centrale a olio combustibile in una centrale a carbone della potenza di 2000 MW, nel mezzo del parco del Delta del Po. Questa centrale a carbone emetterebbe in un solo anno 10 milioni di tonnellate di CO2 (4 volte le emissioni di Milano), 2800 tonnellate di ossidi di azoto (come 3.5 milioni di auto), 3700 tonnellate di ossidi di zolfo (più di tutti i veicoli in Italia), richiedendo lo smaltimento di milioni di tonnellate di gessi e altre sostanze.

 

La centrale a carbone di Porto Tolle non ha alcun senso.

La riconversione avverrebbe al di fuori e contro di ogni strategia di riduzione delle emissioni di anidride carbonica (strategia che ancora oggi non c'è) e persino di ogni logica energetica, dal momento che l'Italia ha una potenza istallata quasi doppia rispetto al picco della domanda, al punto che i produttori di energia elettrica lamentano che gli impianti vengono oggi usati per un terzo della loro potenzialità.

Non solo: oggi le maggiori prospettive di nuovi posti di lavoro, nel mondo e in Italia, sono nei settori delle fonti rinnovabili e dell'efficienza energetica, con numeri che in alcuni Paesi ormai superano l'industria tradizionale; al contrario, la centrale a carbone porrebbe a rischio l'occupazione già esistente, e quella futura, nell'agricoltura, nel turismo e nella pesca.

 

La riconversione a carbone avverrebbe con una tecnologia di combustione che, pur spinta ai suoi migliori livelli, resta sempre assai più inquinante di quella basata sul gas naturale, e dannosa per la salute; nel caso di Porto Tolle, i dati di rilevazione e le epidemiologie mostrano che l'inquinamento e i danni sanitari si estenderebbero per buona parte della Pianura Padana.

 

Il ricatto occupazionale di ENEL, dunque, va rifiutato da tutti con dignità e fermezza, perché oggi più che ieri il futuro è nell'economia sostenibile per l'ambiente e la salute, tanto più che, sul piano occupazionale, la bonifica dell'area ed una sua riconversione verso impianti e produzioni nel settore delle energie rinnovabili pulite darebbero lavoro stabile e sicuro ad un maggior numero di persone.

 

Con la giornata del 29 ottobre ci rivolgiamo a tutti, anche a coloro che subiscono il ricatto occupazionale, nel Polesine e ovunque in Italia vi siano centrali a carbone o progetti di costruzione di nuove centrali o di ampliamento di quelle esistenti, per rifiutare tutti insieme la contrapposizione tra lavoro ambiente e salute, cominciando invece a costruire un lavoro dignitoso, una società basata sull'interesse comune e non sugli interessi di poche lobbies, sulla possibilità di un futuro per tutte e tutti.

 

Promotori:

AltroVe,rete comitati e associazioni per un altro Veneto; ARCI; Associazione altramente scuola per tutti; A sud; Circolo culturale "AmbienteScienze" di Cremona;Comitato Energiafelice; Comitato SI alle rinnovabile, NO al nucleare; Coordinamento Veneto Contro il Carbone; Ecologisti democratici; Fare Verde; Federconsumatori; Forum Ambientalista; Greenpeace; Kyoto Club; Italia Nostra; ISDE - Medici per l'Ambiente; Legambiente; LIPU; Movimento Difesa del Cittadino; Movimento Ecologista; Otherearth; Rete della Conoscenza (Uds - Link); Rigas; WWF; Ya Basta.

 

Adesioni:

Federazione nazionale dei Verdi; PRC-FDS Nazionale; SEL Nazionale

 

Adesioni individuali:

Anna Donati; Virginio Bettini; Ilaria Boniburini; Edoardo Salzano….

 

Adesioni locali……

 

Pedemontana, in Commissione a Desio tutte le preoccupazioni dei cittadini

Pedemontana, in Commissione a Desio tutte le preoccupazioni dei cittadini    
Scritto da Mirko Dado   
Martedì 27 Settembre 2011 www.mbnews.it

pedemontanaPiù si avvicinano le ruspe, più la Pedemontana tormenta i sonni di tanti desiani. Non è un caso se nell'ultima Commissione comunale Infrastrutture (di solito sono riunioni chiuse con i pochi intimi consiglieri) si siano presentati oltre 50 cittadini. Solo una piccola rappresentanza di coloro che sono preoccupati per l'enorme impatto che l'autostrada avrà in città, dove passerà non solo il tracciato ma anche il maxi svincolo con la Valassina e l'area di servizio. Che ne sarà di noi? La domanda di tanti cittadini della zona di San Giorgio, che temono un'invasione di cemento, smog e traffico.

Obiettivo dell'Amministrazione Comunale – adesso che si sta per aprire il lavoro sulla progettazione definitiva dell'opera - è prevenire i problemi alla viabilità generale in città e ai residenti nelle zone di Desio maggiormente interessate. Le proposte del Comune sono state inserite in un 'Addendum' al progetto definitivo.

METROTRAMVIA-Q81-0006-01-LAYOUT1-inquadramento-regione-lombardiaCosa prevedono? Nel quadrante sud-est, l' allontanamento della rampa di Pedemontana dall'urbanizzato, un intervento di mitigazione ambientale (duna con piantumazione), la separazione del flusso delle auto da quello ciclo-pedonale. Poi,  l'esecuzione di uno studio di traffico sovracomunale per consentire adeguate valutazioni volte a prevenire o affrontare per tempo problemi di mobilità collegati alla cantierizzazione e alla messa in esercizio di Pedemontana.

Riguardo a questo secondo punto, l'Assessore all'Urbanistica e Mobilità ha riferito alla Commissione che, in un incontro del 14 settembre a Lissone i comuni interessati hanno dato vita a un coordinamento tecnico, concordando le modalità di messa a punto del piano di rilevazione del traffico (definizione delle sezioni e dei nodi da analizzare, questionario da sottoporre durante la rilevazione).
"Lo studio – spiega il Comune - rilevando gli spostamenti delle persone sul territorio e il mezzo da loro utilizzato, servirà a costruire un modello per simulare il traffico in Desio durante gli anni di cantierizzazione e sarà anche utile a valutare qual è la domanda potenziale aggiuntiva di trasporto pubblico locale in città". Intanto, proseguono gli espropri dei terreni su cui passerà il "mostro" autostradale.

Foto: l'immagine a sinistra è stata gentilemente concessa dall'ufficio stampa comune di Desio


Questo sì che ci mancava..

Cicciolina si candida a sindaco

«Un casinò in Villa reale a Monza»

Monza - Cicciolina si candida a sindaco di Monza (TMNews photo) (Foto by SICKI)

Monza - Alle soglie dei 60 anni e del discusso percepimento di un vitalizio da 3 mila euro al mese per l'unica legislatura trascorsa in Parlamento, l'ex pornostar Cicciolina annuncia il suo futuro in politica al settimanale 'Oggi', da domani in edicola (anche su www.oggi.it). "Intendiamo fondare - afferma nell'intervista, una sintesi della quale è stata diffusa dall'ufficio stampa del periodico - un partito di tipo ottimista-futurista. Basta con i partiti del magna-magna, i voti pilotati, gli appalti e le corruzioni. Pensiamo a un partito degli onesti: antimilitarista e per i diritti dei deboli. Andrei fra la gente, come al tempo dei Radicali, ad ascoltare i problemi". Cicciolina rilancia anche quello che definisce "il mio antico progetto di diventare sindaco di Monza. Farei diventare Monza una città eccitante! Ne ha tutte le potenzialità. Per esempio, se si trasformasse la Villa Reale in un lussuoso Casinò arriverebbero soldi a palate per il comune". E promette: "Si sentirà ancora parlare di Cicciolina in politica".


lunedì 26 settembre 2011

I figli di tremonti e pedemontana


L'azienda pubblica paga l'affitto
ai figli del ministro Tremonti

L'affare con l'Autostrada Pedemontana, di proprietà della Milano-Serravalle dello scandalo che ha coinvolto Filippo Penati: la società ha preso in locazione gli uffici al centro di Milano di proprietà degli eredi di mister Economia

Azioni? Obbligazioni? Titoli di Stato? Macché, quando si tratta di investire il gruzzolo di casa, la famiglia Tremonti gira alla larga dai mercati finanziari e va sul sicuro. Anzi, sul mattone. Lo rivelano i bilanci delle società controllate dal ministro dell'Economia e dai suoi parenti stretti, moglie e figli. C'è l'Immobiliare Crocefisso srl, che due anni fa, come Il Fatto Quotidiano ha già raccontato, si è comprata un intero palazzo d'epoca (tre piani) nella centralissima via Clerici a Milano. Quest'ultimo acquisto è andato ad aggiungersi agli uffici di via Crocefisso, pure questi nel centro di Milano, dove ha sede lo studio tributario fondato da Tremonti e ora affidato ai suoi storici collaboratori Enrico Vitali, Dario Romagnoli e Lorenzo Piccardi.

La vera sorpresa arriva però da un'altra società. Si chiama Nitrum e risulta intestata ai due figli del ministro, Luisa, 33 anni, e Giovanni, 26. Anche Nitrum, come vuole la tradizione di famiglia, ha puntato sul mattone. Tra l'altro possiede un intero piano di uno dei palazzi più alti di Milano, un grattacielo costruito negli anni Cinquanta in piazza Repubblica a Milano, vicino alla stazione Centrale. Ebbene, chi ha preso in affitto i locali degli eredi di Tremonti? Le carte ufficiali consultate dal Fatto rivelano che in quelle stanze si è insediata un'azienda pubblica, l'Autostrada Pedemontana lombarda. Proprio lì, al sesto piano del grattacielo milanese, si trovano gli uffici della società che sta realizzando una delle opere più costose e discusse degli ultimi anni. Una nuova autostrada che tagliando il varesotto e poi la Brianza dovrebbe diventare una nuova arteria di collegamento veloce tra il nordovest della Lombardia e Bergamo. Nel 2007 i vertici della Pedemontana, all'epoca presieduta da Fabio Terragni, hanno deciso di cambiare sede. E la scelta per i nuovi uffici, 650 metri quadrati in tutto, è caduta proprio sull'immobile di proprietà della famiglia Tremonti.

Risultato: i figli del ministro dell'Economia, tramite la società Nitrum, incassano l'affitto, che ammonta ad alcune centinaia di migliaia di euro l'anno, da una società a controllo pubblico. L'ufficio stampa della Pedemontana, contattato dal Fatto Quotidiano, ha ritenuto di non commentare né di rispondere alla richiesta di dettagli. Sta di fatto che da principio quel sesto piano era di proprietà di un istituto di credito, la Banca Carige. Nel 2001 arriva la Nitrum che all'inizio si accontenta di un leasing del valore complessivo di 3,8 milioni di euro. Nel 2009, alla scadenza del contratto, l'immobile è stato riscattato dalla società dei figli di Tremonti. Nel frattempo, a metà del 2007, gli uffici sono stati presi in affitto dalla Pedemontana, che nel suo bilancio ha spiegato il trasloco con l'esigenza di avvicinarsi alle "sedi delle istituzioni". In effetti, non lontano da piazza della Repubblica si trova anche la sede della Regione Lombardia.

La quota di maggioranza della società Autostrada Pedemontana è di proprietà della Milano Serravalle, proprio la società tornata alla ribalta in questi mesi per lo scandalo che ha travolto Filippo Penati, ex presidente della Provincia di Milano, fino a pochi mesi una dei più importanti esponenti del Pd al Nord. La Serravalle, a sua volta, ha come soci principali Provincia e Comune di Milano. Azionisti a parte, la Pedemontana è però legata a filo doppio al mondo politico. I finanziamenti pubblici per la nuova autostrada lombarda arrivano grazie al Cipe, il Comitato interministeriale per la programmazione economica di cui Tremonti, come ministro dell'Economia, è vicepresidente. Ma oltre a questa relazione istituzionale c'è, come abbiamo visto, anche una connection familiare: la Pedemontana paga l'affitto ai figli del ministro, Luisa e Giovanni. Gli eredi di Tremonti hanno comprato la Nitrum, che già possedeva un importante patrimonio immobiliare, a metà del 2006. Un affare tutto in famiglia. A vendere è stata la signora Tremonti, cioè la mamma degli acquirenti. Che se la sono cavata con poco: 37 mila euro.

da Il Fatto Quotidiano del 24 settembre 2011


domenica 18 settembre 2011

TALPE NEL PALAZZO

Talpe nel palazzo

 

di Paolo Biondai,

L'Espresso - 16 settembre 2011

 

Talpe nel palazzo

 

La maxi-inchiesta sulla 'ndrangheta lombarda è ancora segretissima, quando una squadra di carabinieri dell'antimafia riesce a nascondere una telecamera di fronte alla villa di un capoclan. 

 

 

I pm milanesi vogliono scoprire (e poter documentare) chi incontra. La missione è difficile: l'inquisito per mafia, ufficialmente imprenditore, è molto guardingo, si circonda di collaboratori- sentinelle e abita in una via di Giussano, nella popolosissima Brianza, dove è difficile passare inosservati. 

Per giorni i militari si fingono operai al lavoro per strada e finalmente piazzano la telecamera in cima a un lampione. 

Il 20 gennaio 2009 le immagini cominciano ad essere registrate nella vicina stazione dell'Arma di Seregno. Ma appena sei giorni dopo, l'inchiesta è bruciata. Un complice avverte il mafioso di aver ricevuto «un'ambasciata dallo sbirro». Una soffiata precisissima: la descrizione esatta dell'inquadratura che arriva sul monitor dei militari. 

Un'immagine che può essere vista solo dall'interno della caserma. Da un traditore dello Stato. E dei tanti carabinieri onesti che rischiano la vita per poco più di mille euro al mese. Un anno e mezzo dopo, nel luglio 2010, quando scatta la storica retata con trecento arresti tra Milano e la Calabria, anche i presunti mafiosi brianzoli finiscono in manette, incastrati da altre microspie. 

Ma la talpa in divisa resta tuttora senza nome. Insieme a troppi altri uomini dello Stato passati al servizio dell'Antistato. Al Sud come nell'insospettato Nord. "L'Espresso" nello scorso numero ha raccontato come l'emissario della cosiddetta P3 si è presentato dal procuratore aggiunto di Milano, Nicola Cerrato, cercando di carpire informazioni sull'inchiesta contro la 'ndrangheta: Pasqualino Lombardi voleva sapere se fossero indagati cinque politici del Pdl lombardo e domandò (invano) di incontrare il pm Ilda Boccassini. 

L'emissario disse che lo mandava il governatore Roberto Formigoni, con cui aveva rapporti diretti. Dei cinque, il più vicino ai boss era l'allora assessore regionale Massimo Ponzoni (l'unico indagato, ma per altre corruzioni), però anche gli altri quattro erano citati nelle intercettazioni antimafia. 

Come faceva Lombardi a sapere così esattamente quali politici comparivano in atti giudiziari ancora top secret? Giudici come Giovanni Falcone hanno insegnato che la criminalità esiste in tutti i Paesi ed è contro lo Stato, ma in Italia la mafia è dentro lo Stato. Ora l'emergenza riguarda la 'ndrangheta, che è diventata l'organizzazione più ricca e potente. Esaminando solo le indagini più recenti sulle cosche in Lombardia, "l'Espresso" ha contato almeno 18 talpe: pubblici ufficiali che hanno svelato i segreti delle inchieste, ma sono rimasti in gran parte «non identificati», come denunciano i giudici sottolineando la «gravità », «pericolosità» ed «evidenza» dei loro tradimenti. Tra i tanti, c'è perfino un «militare in servizio alla Direzione distrettuale antimafia di Milano», ossia negli uffici della procura. Una talpa mai smascherata, ma attiva almeno fino al 2009, visto che a fine anno un mafioso del clan di Milano-Pioltello allertava i complici dicendo di aver «visto insieme a quello della Dda tutte le carte con i nostri nomi» e «le microspie in macchina». La certezza che la 'ndrangheta è riuscita a infiltrarsi perfino nella loro inchiesta, i pm milanesi la ricavano quando sentono gli stessi affiliati parlare di una seconda talpa, che a differenza della prima ha un nome: «Michele, il carabiniere di Rho che ci passava informazioni sulle intercettazioni in cambio della mancia». 

A Rho, il comune dell'Expo 2015, l'inchiesta travolge quattro carabinieri accusati di corruzione. L'appuntato Michele, al secolo Berlingieri, viene arrestato addirittura per concorso esterno in associazione mafiosa. A incastrarlo è il video di un omicidio. Il 25 gennaio 2010 il figlio di un boss calabrese ammazza a colpi di pistola un giovane albanese in un bar. L'appuntato Michele, ignaro che i colleghi di Monza lo stanno filmando, entra nel locale, raccoglie i bossoli e li risistema per truccare la scena del delitto. Quando il killer passa la pistola a un complice, lo lascia uscire indisturbato. Poi stringe la mano al padre dell'assassino. 

Commento dei mafiosi: «Michele lo sbirro si è comportato benissimo». Dalle stesse indagini saltano fuori storie di blitz antidroga organizzati tra Milano e Varese per togliere di mezzo gli spacciatori concorrenti della 'ndrangheta. Ignoti funzionari dell'Anas che, quando la procura deve farsi autorizzare una videoripresa sulla statale, avvisano in diretta un boss, che annulla un summit con decine di mafiosi. Cittadini derubati di auto o furgoni che, seguendo il loro Gps, guidano una pattuglia da uno sfasciacarrozze, che non viene controllato, ma salvato. E quando i carabinieri onesti arrestano tutti, si scopre che proprio lì c'era «un arsenale di armi da guerra della 'ndrangheta». Nelle ordinanze del 2011 spunta perfino "suor talpa". 

Paolo Martino, boss reggino con ricchi interessi e molti amici tra politica e discoteche a Milano (il più famoso è Lele Mora), prima dell'arresto si ritrova una microspia in macchina. Al che si rivolge alla sorella, che è religiosa delle Paoline nonché vicedirettore sanitario dell'ospedale cattolico di Albano Laziale. «Informati dalla tua consorella », le dice furbescamente. Tre settimane dopo, la suora gli spiattella che c'è un pentito: «Ho sentito quella persona lì, mi ha detto di stare attenta... quel personaggio sta a cantà». Un aiuto alla mafia arriva pure dalle polizie municipali tanto amate dalla Lega: a Lurago d'Erba il comandante locale controlla le targhe delle auto dell'antimafia e avverte i boss (si spera ignorandone lo spessore criminale) riuniti nel loro maneggio. Intanto il direttore sanitario del carcere di Monza chiede voti e favori a un mafioso appena scarcerato (e poi ammazzato). 

Mentre un maresciallo «non identificato» avverte un padrino di Pioltello, in teoria ai domiciliari, di «non girare sulla sua Bmw», dove in effetti i carabinieri hanno piazzato una cimice. E non manca «un sottufficiale in servizio alla procura di Monza » che non denuncia due ricettatori, pur sentendosi dire che «nascondono armi» poi finite alla 'ndrangheta. Nei rapporti con le talpe, i mafiosi sembrano seguire un codice. 

Ogni boss protegge l'identità dei propri informatori: un tesoro da nascondere anche ai complici. Proprio le indagini di Milano e Reggio dimostrano però che la 'ndrangheta è un'organizzazione «unitaria e verticistica». Per cui la singola talpa rischia di favorire tutte la 'ndrine. E di manipolare anche le indagini più serie, come ha denunciato il procuratore Giuseppe Pignatone alla commissione Antimafia: il boss informato in anticipo ha il potere di decidere quali amici salvare e quali nemici far arrestare. Ora la scoperta di una rete di talpe così ramificata perfino a Milano rafforza i sospetti che la 'ndrangheta continui a beneficiare di un livello ancora segreto di complicità clamorose e inconfessabili. 

«La vicenda più inquietante», secondo i giudici antimafia, almeno per ora è l'arresto di Giovanni Zumbo, ex custode giudiziario di immobili e società sequestrate alla mafia calabrese, nonché collaboratore del Sismi dal 2004 al 2006, quando il servizio segreto militare era in mano al generale Nicolò Pollari e al suo uomo forte Marco Mancini. 

Nel marzo 2010 l'allora insospettabile Zumbo, accompagnato da un mafioso, Giovanni Ficara, viene intercettato mentre racconta a un superlatitante, Giuseppe Pelle, tutti i particolari della maxi-inchiesta ancora top secret di Milano e Reggio. Non lo fa «per soldi», ma perché, come spiega lui stesso ai boss, «ho fatto parte e faccio tuttora parte di un sistema molto vasto», formato da uomini dello Stato che in realtà sono «i peggiori criminali»: «Hanno fatto cose che solo a sentirle, a me viene freddo». 

Dopo l'arresto per mafia, Zumbo è stato rinviato a giudizio, con il boss Ficara e due complici, anche per le armi e l'esplosivo fatti ritrovare a Reggio nel gennaio 2010, nel giorno della visita del presidente della Repubblica. Un depistaggio spettacolare, inscenato per accreditarsi come confidente con i magistrati della nuova guardia. 

E rubare altre soffiate. Ordinandone la cattura, i giudici avvertono che Zumbo si era messo a disposizione dei mafiosi «perché incaricato da qualcuno, interessato a entrare in rapporto con i boss a costo di vanificare le più importanti indagini dei carabinieri contro la 'ndrangheta». 

Qualcuno «alla cui volontà non poteva sottrarsi». Il procuratore Pignatone lo ha definito «il puparo». 

Il suo nome resta un mistero: le indagini documentano solo che i due boss dei clan Pelle e Ficara- Latella «convocarono» la loro talpa, dopo aver avuto una prima soffiata da un agente segreto, ex militare, in contatto con altri tre 007, con un passato nel Ros. 

Dopo un anno di carcere duro, Zumbo ha parlato una sola volta con i magistrati, ripetendo lo sfogo che aveva confidato a un ufficiale dei carabinieri fin dal giorno dell'arresto: «I servizi mi avevano lasciato in pace per un po', ma all'inizio del 2010 sono tornati a inquietarmi per collaborare. Se mi pento io, succede un terremoto». «Dal boss Pelle, io sono stato mandato », aveva aggiunto Zumbo, che si rifiuta però di fare il nome del suo «puparo» in divisa. 

Tra Milano e Reggio non si escludono sorprese esplosive sui complici eccellenti della 'ndrangheta.