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martedì 29 settembre 2009

Paderno: Lotta alla Metalli Preziosi


Ci era noto che nell'area milanese, il caso dell'Insee non era isolato.
Era solo la parte più visibile di un iceberg, la cui massa nascosta, sotto
il pelo dell'acqua, è molto più ampia di quanto si possa credere. Soltanto
nei primi mesi di quest'anno, si possono riscontrare diversi casi
analoghi: il centro di ricerche della Nokia-Siemens a Cinisello Balsamo,
l'Elco di Inzago, la Saes Getter di Lainate, la Lares e la Metalli
Preziosi di Paderno Dugnano, l'Eutelia di Pregnana Milanese, l'Aluminium
di Rozzano, la Ercole Marelli-Alstom Power e la Omnia Network di Sesto S.
Giovanni, l'Ideal Standard di Brescia, solo per citare le più
grandi.
Si tratta, per lo più, di realtà produttive a medio-alto contenuto
tecnologico e con valore aggiunto potenzialmente più elevato della media
manifatturiera. E' ciò che rimane della tradizione industriale italiana
specializzata nella produzione di beni intermedi.
In questi giorni è scoppiato il caso Metalli Preziosi e Lares, due imprese
leader nel proprio campo sino agli anni '90, dove lunedì 14 settembre 5
lavoratori sono saliti sulla ciminiera della fabbrica. Dal mese di luglio,
le due imprese si trovano in stato di fallimento in seguito ai
comportamenti truffaldini e speculativi del nuovo proprietario comune, tal
Marcel Astolfi. Costui, una volta rilevate le imprese grazie ai soldi
pubblici della legge Prodi Bis (che prevede finanziamenti per il
mantenimento dell'attività produttiva, in caso di elevato indebitamento!),
dopo un periodo di commissariamento straordinario, si è ben guardato dal
fare gli investimenti necessari per la ripresa produttiva o la
riconversione verso produzioni a maggior valore aggiunto. Ha pensato bene,
come molto imprenditori nostrani, che era più comodo affidarsi alla
speculazione sul mattone, soprattutto quando, in modo alquanto sospetto,
l'area di una delle imprese (la Lares) sparisce dalla lista dei siti
industriali a rischio ambientale (e, con un colpo di bacchetta magica, può
essere destinato ad uso abitativo o commerciale). Si tratta di una prassi
molto comune e diffusa nell'area milanese, che non a caso investe quelle
aree metropolitane e suburbane che più verranno stravolte dal piano Expo.
In palio ci sono questioni che ci riguardano tutti. Da un lato si conferma
il vero volto dell'operazione Expo 2015, ovvero l'essere il grimaldello di
un processo di ristrutturazione del territorio milanese unicamente a
favore della speculazione edilizia che va ben al di là dell'evento in
questione. Dall'altro, si interviene sul mercato del lavoro e la sua
composizione in modo traumatico, tramite il ridimensionamento ulteriore
del lavoro industriale, la sua precarizzazione esistenziale con l'intento
di aumentarne la ricattabilità e la docilità.

Il costo della crisi economica viene sempre più addossato al mondo del
lavoro, anche là dove non c'è calo di produzione, garantendo sempre ad
aziende e dirigenti facili ed immeritati profitti.

Limitarsi a chiedere la ripresa del lavoro grazie al provvidenziale arrivo
di qualche nuovo padrone o l'intervento dei soci industriali di minoranza
della Preramet di Mosca - come chiedono Cgil, Cisl e Uil - non solo non ha
senso ma è fuorviante. E' sempre più necessario cominciare a pensare ad un
piano industriale nuovo, in grado di riconvertire parte o tutta la
Nproduzione materiale in servizi avanzati per l'elettronica e
l'innovazione. Un piano che gli stessi lavoratori, in modo autogestito,
tramite una cooperativa, potrebbero in primo persona intraprendere.

Come Associazione BioS, Comitato Operai del Nord Milano e Comitato No Expo
siamo solidali alla lotta in corso, consci che sarà necessario
coinvolgere anche le altre realtà del territorio per favorire un fronte
comune contro il modello Expo e per un welfare e un lavoro a nostra misura.



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