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martedì 17 novembre 2009

FAO: LE ETERNE PROMESSE CONTRO LA FAME

LE ETERNE PROMESSE CONTRO LA FAME
  “È ora di agire”,oggi come dieci anni fa il vertice Fao produce appelli senza soluzione. “Mancano 44 miliardi”
  di Emanuele Piano
     Il tempo delle parole è finito. Ora è il momento di agire”. Era il 1996 e il mondo si riuniva per la prima volta alla Fao per combattere la fame nel mondo e per affermare un obiettivo concreto: dimezzare entro il 2015 le persone che vivono in condizioni di estrema povertà e rendere il diritto all’alimentazione un diritto umano fondamentale, che è l’impegno preso nel 2000 dalle Nazioni Unite sotto il titolo Millennium Goals..    Da quel primo summit sono passati ben tredici anni e, a intervalli più o meno regolari – nel 2002, nel 2006, nel 2008 e in questi giorni a Roma – i paesi del sistema delle Nazioni Unite si sono incontrati per ribadire “l’inaccettabile e intollerabile” condizione in cui vive oramai oltre un miliardo di persone nel mondo.   Oggi il tempo dell’ottimismo è finito e le frasi ad effetto e gli impegni – puntualmente disattesi – non entrano nemmeno più nelle labili dichiarazioni finali.    I dati sono allarmanti: entro il 2050 la popolazione del mondo aumenterà del 34% arrivando alla cifra record di oltre 9 miliardi di persone. Per sfamarle, la Terra dovrà produrre il 70% in più di risorse alimentari.    L’incremento produttivo dovrà venire, ci dicono gli studi della Fao, al 90 per cento da un aumento dei rendimenti delle coltivazioni e solo nel 10% dei casi da un’espansione delle terre   coltivate.    Il segretario generale Fao, il senegalese Jacques Diouf, chiede un investimento di 44 miliardi di dollari l’anno per raggiungere l’obiettivo.    Il problema è, come al solito, di risorse perché in questi anni il numero di persone che soffrono la fame, anziché diminuire, è aumentato.    Ogni mese 7 milioni di individui non riescono a reperire cibo a sufficienza. Il numero degli affamati è passato in un decennio da 800 a un miliardo di persone ed è aumentato del 9% nel corso dell’ultimo anno nonostante il 2008 abbia avuto dei raccolti record.      Già nel 2002 Diouf denunciava la mancanza di progressi, oggi pur dicendosi “soddisfatto” critica come – ancora una volta – non venga indicato un “quando”, un orizzonte temporale sull’efficacia dei programmi varati.    I suoi appelli per i finanziamenti all’agricoltura sono passati inosservati, oltre a essere aumentati dai 24 miliardi annui di 7 anni fa ai 44 attuali.    Il paragone è deprimente: 365 miliardi annui in sussidi all’agricoltura nel nord del mondo, 1340 miliardi di dollari spesi in armamenti, 20 miliardi di dollari (in tre anni e di cui solo 3 pari a nuovi stanziamenti) offerti dal G8 de L’Aquila.    Ma “è bene non guardare solo a cosa devono fare i grandi della terra per combattere la fame - ha sostenuto poi il presidente Ifad (il braccio “tecnico” della   Fao) Kanayo Nwanze - ma anche cosa possono fare gli stessi Paesi poveri e da parte loro un contributo, seppure piccolo, è fondamentale”.    Intanto nella sfilata dei buoni di cuore il presidente del Consiglio Silvio Berlusconi – presente al Vertice Fao anche per evitare l’udienza che lo riguarda nel processo Mediaset a Milano e che puntualmente è stata aggiornata al prossimo 18 gennaio per “impegni istituzionali” – rivendica il proprio successo e dichiara vicino “il momento della svolta”.      Finisce quasi per fare tenerezza il segretario generale dell’Onu, il coreano Ban Ki-moon, quando chiede che il prossimo meeting di Copenaghen sui cambiamenti climatici “raggiunga un accordo con dei criteri vincolanti per la riduzione delle emissioni”. Ban Ki-moon pare non sapere che Barack Obama e il presidente cinese Hu Jintao si sono già messi d’accordo per derubricare l’incontro di dicembre in Danimarca a poco più di una gita fuori porta.    Così come sembra lontano dalla realtà l’appello del   Santo Padre, Benedetto XVI, affinché i grandi del mondo guardino nel proprio cuore (e non al portafoglio) quando decidono delle sorti di miliardi di persone.    Fuori dal coro un inedito duo: il sindaco di Roma, Gianni Alemanno, e il presidente libico, Muammar Gheddafi. Se il primo cittadino ha criticato la mancanza di impegni concreti nella dichiarazione finale e ha chiesto la non-brevettibilità del vivente, la Suprema guida della Rivoluzione ha puntato il dito contro gli assenti.    Dei membri del G8 soltanto Berlusconi e l’Italia erano presenti con i capi di governo indice, ha detto Gheddafi, di quanto gli importi della povertà. “Tutte le decisioni, le promesse e gli impegni sono stati vani. Spendono triliardi di dollari   per armarsi quando potrebbero destinare quelle risorse agli aiuti allo sviluppo”, ha affermato Gheddafi che passerà agli annali per aver tenuto un discorso   nel tempo allocato.    La domanda che ricorre è quindi sempre la stessa: a cosa servono questi meeting pomposi (costo circa 2,5 milioni di dollari finanziati dall’Arabia Saudita) se poi non indicano obiettivi e strategie concrete? La risposta ce la dà Florence Chenoweth, ministro dell’Agricoltura della Liberia, paese che milita agli ultimi posti nelle classifiche Onu. “Così funziona il mondo e non è colpa di nessuno. Non dovrebbe essere così, ma il meccanismo mediatico impone che di certe cose si parli solo in corrispondenza di grandi eventi come questo. Altrimenti nessuno si mobilita”, dice Florence che in questi anni sta lavorando per riportare nei campi una nazione scossa da 25 anni di guerra civile. Questo sì un impegno concreto.

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